AGICEScomunica Newsletter
dell'Associazione Assemblea Generale Italiana |
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Numero 5 - Novembre
2005 |
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Notizie
Agices |
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Appello di Agices al commercio
equo mondiale: “La coperta corta del caffe’ equo e solidale di Nestle’” |
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Per iniziativa di Agices, una lettera a
tripla firma (Agices, Assobotteghe e Transfair/Fairtrade Italia) raggiungerà
nei prossimi giorni tutte le organizzazioni di commercio equo delle reti
internazionali per chiedere di porre rimedio alla grave contraddizione sul
rapporto tra commercio equo e imprese transnazionali, sollevata dalla recente
certificazione di una qualità di caffè solubile Nestlé. Di seguito il testo
integrale. “Parlare di Commercio Equo e Solidale oggi
non significa richiamarsi a generali appelli alla solidarietà, ma vuol dire
focalizzare l’attenzione sugli squilibri economici e sociali che
caratterizzano le periferie del mondo, quelle delle nostre città come quelle
di continenti lontani. In particolare vuol dire ricercarne le cause primarie
ed agire a livello politico, economico e sociale per rimuoverle. Un intervento efficace non si può e non si
deve basare su atteggiamenti autoreferenziali, in cui le organizzazioni di
commercio equo guardano solamente a se stesse, ma deve saper intercettare le
esigenze ed i bisogni di una società in continuo cambiamento, che parla di
consumatori sempre più etici, di imprese che investono per riconvertire in
maniera responsabile, di istituzioni che sempre di più sostengono esperienze
pulite e sostenibili. Questo è il contesto in cui come
organizzazioni ci troviamo ad operare e questi sono gli interlocutori con i
quali vogliamo, di necessità, confrontarci; la forza di un’esperienza come il
Commercio Equo e Solidale sta proprio in questo: condizionare il proprio
intorno, inducendo comportamenti responsabili, se non addirittura etici,
nelle imprese e nei consumatori. Tutto ciò non può però impedirci di guardare
al mondo reale in cui viviamo, che parla ancora di aumento delle
diseguaglianze, di crescente disagio sociale, di risorse naturali in
esaurimento. E di imprese che, per la stragrande maggioranza dei casi,
ricercano un profitto senza regole e senza limiti, in cui le persone e
l’ambiente diventano risorse da sfruttare quando occorre, le comunità mercati
da conquistare indipendentemente dalle conseguenze, i sindacati ingombranti
cascami di un passato che non vuol passare. Comunicazione, marketing, ricerca di
consenso sociale. Come in un grande mercato le imprese spendono fortune per
rifarsi il trucco, per comunicare ciò che è compatibile all’aumento di
profitti e dividendi, omettendo l’inopportuno e censurando il condannabile. Questo è il mondo con cui abbiamo a che
fare, non l’ingenuo paese delle meraviglie, ma il più concreto territorio
degli affari e dell’interesse personale, dove parole come “etica”,
“giustizia”, “solidarietà” sono ottimi grimaldelli per aprire cuori e,
quindi, portafogli. Se questo è vero, la certificazione di una
linea di caffè della multinazionale Nestlé come equa e solidale presenta
enormi contraddizioni. Ha l’apparenza di un vero e proprio regalo fatto alle
politiche di marketing di una multinazionale che secondo il rapporto annuale
della ICFTU, la Confederazione internazionale dei sindacati liberi: nell’aprile 2003 in El Salvador chiuse una
sua fabbrica, rifiutando di negoziare i termini della chiusura col sindacato
locale, SETNESSA (Sindicato de Empresa de Trabajadores Nestlé S.A.). Solo
grazie ad una campagna internazionale di solidarietà si è giunti ad un
accordo fra sindacato ed azienda che rispettava le richieste dei lavoratori. In Corea nel 2003 fu accusata dalla
Commissione per le relazioni sindacali della provincia di Chungbook. Una
dichiarazione della commissione afferma che la Nestlé “ha portato avanti ogni
sorta di intimidazioni e intromissioni” nella disputa con il sindacato
locale, Nestlé Korea Labour Union. La disputa è nata per il trasferimento
forzato di 44 lavoratori ad un nuovo settore, che preludeva ad un
licenziamento. Le stesse lotte sindacali in Colombia nel
biennio 2003-2005 del sindacato Sinaltrainal, così come quelle dell’Union of
Filipino Employees-Drug and Food Alliance (UFE-DFA), il sindacato dei
lavoratori della fabbrica della Nestlè di Cabuyao, Laguna, indicano un’alta
conflittualità con la multinazionale svizzera, in tema di diritti del lavoro
e rapporti sindacali. Il 14 luglio 2005, l’International Labor
Rights Fund ha depositato presso la Corte federale di Los Angeles una
denuncia contro tre compagnie che importano cacao dalle coltivazioni della
Costa d’Avorio, maggior produttore mondiale, accusandole di traffico di
bambini, torture e lavoro forzato. Le tre società sono Nestlé, Archer Daniels
Midland (ADM) e Cargill. La class action è stata avviata da uno
studio legale dell’Alabama, “Wiggins, Childs, Quinn & Pantazis”, per
conto di tre bambini, in nome di tutti quelli del Mali coinvolti dal 1996 ad
oggi, calcolati in migliaia. Da diversi anni Nestlé è accusata di violare
il Codice internazionale Oms/Unicef sulla commercializzazione dei sostituti
del latte materno. A dispetto di quanto previsto dal Codice internazionale,
promuove i propri prodotti principalmente attraverso il sistema sanitario e
gli operatori sanitari dei vari paesi, attraverso forniture gratuite,
incentivi per favorirne la prescrizione e la diffusione di materiale
informativo fuorviante sull’alimentazione infantile, nonostante sia l’Oms e
la stessa Unicef abbiano più volte indicato lo scorretto utilizzo dei
sostituti del latte materno come causa di morti infantili nei paesi del Sud
del M ondo. Secondo Dijbril Diallo,
consigliere speciale dell’Unicef: -la Nestlé spaccia per "aiuti" le
sue scorrette pratiche di marketing-. Entrando più nello specifico della questione
caffè equo e solidale Nestlé afferma che “D'altro canto […] se da un lato ai
coltivatori di caffè si pagassero su vasta scala i prezzi del commercio equo
e solidale, superiori a quelli di mercato, si incoraggerebbero quegli stessi
coltivatori ad aumentare la produzione, con un ulteriore effetto di
distorsione sull'attuale squilibrio tra domanda e offerta, e dunque di
abbattimento dei prezzi del caffè verde” (Nestlé, Novembre 2003). Insomma,
equo e solidale va bene, purchè i bassi prezzi pagati ai produttori non si
tocchino. Proprio per questo, per le crescenti
perplessità che comportamenti non chiari o dichiaratamente illegali suscitano,
come organizzazioni riteniamo assolutamente impropria la concessione della
certificazione equa e solidale a Nestlé, concessa dalla Fair Trade Foundation
Uk. Per questo chiediamo: - a
tutte le esperienze di marchio europee e mondiali, di impedire la concessione
del marchio Fairtrade alla linea di caffè in questione; - a
tutte le organizzazioni della società civile europea e mondiale, di fare
pressione sulla Fair Labelling Organization (Flo) per aprire una discussione
sui criteri utilizzati per la certificazione delle imprese multinazionali; - alle
organizzazioni del Commercio Equo e Solidale europee e mondiali, di chiedere
una presa di posizione pubblica ad Efta (European Fair Trade Association),
Ifat (International Federation of Alternative Trade), News (European Network
of World Shop) sul rapporto tra Commercio Equo e Commercio convenzionale; - a
tutte le organizzazioni della società civile internazionale, ai movimenti
sociali, di appoggiare e sostenere tutte le iniziative sviluppate dalla rete
Ibfan; - alle
catene della Grande Distribuzione Organizzata, in particolare quelle catene
certificate SA8000, di chiedere conto dei comportamenti in tema di diritti
del lavoro, rispetto delle convenzioni internazionali e rispetto
dell’ambiente da parte delle imprese fornitrici. Agices (Associazione Generale Italiana
Commercio Equo e Solidale) Associazione Botteghe del Mondo Italia Transfair/Fairtrade
Italia |
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Per tutte le
informazioni http://www.agices.org
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Agices rappresenta l’Italia nel primo incontro di Ifat Europa |
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Il 28 e 29 novembre
prossimi a Bruxelles si riunirà per la prima volta l’articolazione regionale
europea della federazione internazionale delle organizzazioni di commercio
equo e solidale IFAT, per avviare la propria costituzione. Per volontà delle
organizzazioni italiane di commercio equo socie di Ifat, la presidente di
Agices Gaga Pignatelli rappresenterà l’Italia nel costituendo coordinamento. L’agenda dei lavori
prevede l’elaborazione di un piano per rafforzare la collaborazione tra le
organizzazioni europee di commercio equo al fine di identificare i temi più
“caldi” da presentare nell’ambito della rete internazionali e lo specifico
contributo europeo alle attività internazionali di Ifat. |
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Per tutte le
informazioni: http://www.agices.org;
http://www.ifat.org |
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Commercio equo - Italia |
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Il commercio equo per un commercio più giusto: il tema del
cotone A un mese dalla conferenza della Wto a Hong
Kong il tema del cotone viene rilanciato grazie a un documento di pressione e
protesta promosso da quattro organizzazioni equosolidali europee, tra le
quali una è socia Agices: Roba dell'Altro Mondo (Italia), Fair (Italia),
Oxfam Magasins du monde (Belgio) e Federation Artisans du Monde (Francia). Il
tema del cotone è il paradigma più chiaro della retorica vuota che ammanta i
negoziati commerciali in corso all'Organizzazione mondiale del Commercio in
vista della ministeriale di Hong Kong del dicembre prossimo. Il cotone è ancora la fibra naturale più
importante del mercato mondiale, rappresentando ben il 38% dell'intero
mercato delle fibre, e per alcuni Paesi, tra i più poveri del mondo, è tra le
fonti principali di reddito. Grazie alle politiche promosse da Banca Mondiale
e Fondo Monetario Internazionale, che hanno visto l'impianto della fibra
coloniale come il principale veicolo di sviluppo economico di molti Paesi in
via di sviluppo, ben 33 Paesi Africani su un totale di 53 sono produttori ed
esportatori di cotone. Ma affidare a questa sola coltura, dal
prezzo internazionale sempre più instabile e depresso, il destino di quasi un
intero continente, è stata una scelta miope e distruttiva. Oggi diversi milioni di persone,
specialmente in Africa, affidano al cotone la propria sopravvivenza. Nell'ambito di questo round di negoziati
commerciali, rilanciato a Doha dalla Wto con l'altisonante titolo di
"Round dello sviluppo", il cotone avrebbe dovuto rappresentare uno
dei tavoli più importanti di costruzione di risposte concrete e di
alternative possibili. Così era stato promesso, sia immediatamente prima sia
subito dopo il collasso della ministeriale di Hong Kong. Scelta confermata,
con la costituzione di una sottocommissione apposita nel luglio dello scorso
anno. Ad oggi, però, la sottocommissione è rimasta
praticamente inerte, nonostante i numerosi richiami del gruppo dei Paesi più
poveri (LDCs) verso un necessario rilancio dell'iniziativa negoziale. A un mese dall'apertura dei lavori della
ministeriale di Hong Kong, le quattro organizzazioni equosolidali europee
chiedono, in un documento di pressione e di protesta, che il tema del cotone
torni al centro dei tavoli negoziali, già fortemente in difficoltà per la
mancanza d'accordo sia in ambito agricolo che sui servizi e sui prodotti
industriali. Il cotone non può essere utilizzato come arma di ricatto per
imbavagliare le proteste dei Paesi più poveri, sempre più certi che questo
ciclo negoziale, stado ai risultati mostrati finora, si concluda senza alcun
risultato concreto per la lotta alla povertà, come invece era stato
assicurato dai G8, pur nello scetticismo degli addetti ai lavori,
all'indomani del vertice scozzese. Al link http://mondo.roba.coop/PDF/Call%20for%20a%20fairer%20trade%20in%20cotton.pdf
trovate il testo originale che verrà
consegnato alle delegazioni ufficiali a Hong Kong, con un pacchetto di
richieste che si concentrano su: - fermare la liberalizzazione forzata dei
mercati delle fibre e del tessile; - l'eliminazione dei sussidi all'esportazione; - la creazione di un sistema internazionale
di governo dell'offerta per la stabilizzazione dei prezzi; - la creazione di un fondo di emergenza per
aiutare i piccoli produttori nelle fasi di crollo dei prezzi; - riconoscere ai singoli Paesi la
possibilità di esercitare il principio di precauzione e di impedire
l'impianto di cotone e fibre OGM; - finanziare le produzioni sostenibili e la
costruzione di filiere pulite attraverso un sistema di tassazione globale; - sostenere le filiere corte, le produzioni
sostenibili, biologiche ed equosolidali e la trasformazione locale della
fibra. riconoscendo legittimità alle pratiche di preferenzialità nelle
forniture pubbliche, oggi contrarie ale regole della Wto.
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